sabato 22 novembre 2014

DEMOCRAZIA, CHI SEI?

     La democrazia è una forma di Stato che, nella versione con parlamento elettivo che conosciamo ai nostri giorni, si è via via affermata in modo particolarmente significativo negli ultimi due secoli.
     Il primo parlamento democratico conosciuto è di fatto un'assemblea, l’Althing, istituita in Islanda nel 930 d.C.; un altro è quello della confederazione delle Cinque Nazioni Civilizzate dei nativi americani. Si tratta dell'alleanza Haudenosaunee che si strinse fra i cinque popoli Irochesi presenti in quella che oggi è conosciuta come la regione dei Grandi Laghi nel Nordamerica. Le nazioni/popoli in questione sono i Cayuga, gli Onondaga, gli Oneida, i Mohawk e i Seneca. Quando si aggiunse alla confederazione la nazione/popolo Tuscarora, l'alleanza prese il nome di Sei Nazioni. Non fu l'unica nel Nordamerica; ci furono anche la Lega degli Huroni (appartenenti alla famiglia linguistica/etnica Irochese) e l'Unione del Creek.
     I Choctaw e i Chickasaw fondarono lungo il corso del Mississippi due floridi stati repubblicani. Avevano uno straordinario interesse per tutti i tipi di civiltà umana; di quella occidentale adottarono solo ciò che era in linea con la loro tradizione culturale. In questo modo dettero vita a una forma sociale unica al mondo, che fondeva gli elementi migliori della democrazia amministrativa, del comunismo economico e della ricerca della libertà individuale.
     Bertrand Russell, nella sua “Storia della filosofia occidentale”, ci ricorda che anche la Chiesa ha conosciuto teorie di governo democratico: “Marsilio da Padova (1270-1342) sostiene che il legislatore dev’essere la maggioranza del popolo, e che la maggioranza ha il diritto di punire i prìncipi. Applica la sovranità popolare anche alla Chiesa, in cui pure il laicato dovrebbe far sentire la sua voce. Dovrebbero esserci concili locali di popolo con la partecipazione dei laici, e in questi concili si dovrebbero eleggere i rappresentanti ai concili generali. (...) Non devono esserci scomuniche senza l’intervento popolare; e il papa non deve avere poteri speciali.”
     Tuttavia, nell'arco di più di due millenni il concetto di democrazia ha vissuto una continua evoluzione, subendo importanti modificazioni nel corso della storia, e non tutte incentrate sulle elezioni. Vediamone qualcuna particolarmente interessante, cominciando dall’antica Grecia e dalle categorie aristoteliche.
     Il filosofo di Stagira distingue fra varie forme di governo: monarchia (governo del singolo), aristocrazia (governo dei migliori) e timocrazia (governo dei censi aventi diritto), che secondo il filosofo rischiavano di degenerare rispettivamente in dispotismo, oligarchia (governo di un'élite), e democrazia (potere del popolo). Nell'antica Grecia la parola democrazia nacque come espressione dispregiativa utilizzata dagli avversari del sistema di governo di Pericle. Infatti kratos, più che il concetto di governo (designato da archìa) rappresentava quello di "forza materiale" e, quindi, "democrazia" voleva dire, pressappoco, "dittatura del popolo" o "della maggioranza". I sostenitori del regime ateniese utilizzavano altri termini per indicare come una condizione di parità fosse necessaria al buon funzionamento di un sistema politico: isonomia (ovvero eguaglianza delle leggi per tutti i cittadini) e isegoria (eguale diritto di ogni cittadino a prendere parola nell'assemblea). Peraltro, a queste forme di eguaglianza si legavano i principi di parresìa (libertà di parola) ed eleutherìa (libertà in genere).


Nell’immagine sopra, il Buleuterio, dove si riuniva il Consiglio chiamato Bulé. In Atene, al tempo di Solone, la Bulé s'adunava nel Oritaneo. Con la riforma di Clistene fu costruito un apposito edificio nell'agorà del Ceramico, mentre i pritani si adunavano nella vicina tholos.


IN PRINCIPIO FU ATENE
     Nel 510 a.C. Atene introdusse un innovativo sistema politico basato sulla partecipazione di tutti alla gestione degli affari pubblici: la democrazia. La paternità della soluzione è storicamente attribuita a un arconte, Clistene, che proseguì e completò il lavoro compiuto quasi un secolo prima da Solone. Con la riforma di Clistene la popolazione venne suddivisa in base al territorio. Le circoscrizioni amministrative sul territorio (demi) erano poste sotto il potere di un capo (demarco). I demi erano raggruppati in trittie e infine queste ultime componevano le tribù. Il governo restava nella mani di nove arconti, questi erano però nominati per sorteggio da una lista di candidati preparata dai demi.
     Le tribù avevano anche il compito di nominare cinquanta rappresentanti per formare un organo collegiale, la Bulé, con funzioni di controllo sulle attività del governo. L'esercito era posto sotto il controllo di uno stratega, anch'esso nominato dalle tribù. L'incarico di stratega era l'unico a non essere affidato tramite il criterio del sorteggio. Pur essendo scelto dalle tribù lo stratega doveva vantare una comprovata esperienza. I cittadini della polis avevano la facoltà di riunirsi in assemblea (ecclesia) per discutere ogni argomento di interesse pubblico, e il potere di sentenziare l'esilio di un singolo cittadino tramite l'istituto dell'ostracismo. L’estrazione a sorte riguardava gran parte di determinate cariche (magistrature) e prescindeva da un’eventuale “misurazione” delle capacità richieste. Gli incaricati erano volontari e, soprattutto, erano passibili di giudizio e di possibili condanne sia durante che al termine del proprio mandato annuale. Alle cariche assegnate per sorteggio se ne affiancavano altre, di tipo elettivo, in genere quelle più rilevanti in cui la competenza era considerata un elemento imprescindibile (dal V secolo quelle dei generali, le più alte magistrature finanziarie, ecc.). In questo caso era prevista la rielezione.
     Nel 425 a. C. prende il potere Pericle, eletto stratega per ben quindici volte. Ciò fa riflettere circa l’eccezionalità delle sue strategie, riconducibile sia alla sua figura di stratega ex apantog (sopra tutti) con più ampi poteri sia in politica interna che estera, sia al suo grande prestigio personale: "...egli era il solo che lasciava dietro di sé un aculeo in chi lo ascoltava…" dice infatti Eupoli. Fu uno dei maggiori apportatori di riforme democratiche, introducendo la mistoforia (remunerazione per chi ricopriva cariche pubbliche); questa forma di “remunerazione per le funzioni pubbliche” non si riferisce ai politici di professione, che nell’antica Atene non esistevano, bensì al pagamento di piccole somme al cittadino comune che veniva scelto per svolgere la funzione di giurato in un processo o che semplicemente partecipava all’assemblea. Erano i poveri a venire incoraggiati dallo Stato a partecipare alla democrazia, tassando le città conquistate o i ricchi. Pericle fu coerente nel perseguire la reale partecipazione politica dei ceti bassi, anche mediante l’elevazione del livello culturale del popolo ateniese. Inoltre diede impulso a una forte politica sociale. Ai suoi tempi l’assemblea era sovrana e i membri del Consiglio dei Cinquecento “restavano in carica per un anno e si poteva entrare a farne parte solo due volte nel corso della vita. Anche quasi tutte le magistrature erano ricoperte da persone scelte a sorte”. (Moses Finley, “L'economia degli antichi e dei moderni”, Laterza, 2010).

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
(Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.) 

LEX ROMANA
     Se non nel governo, almeno nei compiti della magistratura anche Roma presentava alcune interessanti caratteristiche.
     Per cominciare, le magistrature della repubblica romana si distinguevano per varie caratteristiche: elettività, annualità, collegialità, diritto di veto e responsabilità. In particolare l'annualità derivava dal timore che la gestione di una carica, protraendosi oltre un anno, potesse indurre chi l'occupava a crearsi, come oggi si direbbe, una situazione di potere tale da costituire un pericolo per la libertà degli altri cittadini. Naturalmente la limitazione della carica a un anno poteva portare di conseguenza che un magistrato non potesse condurre a termine un'opera per la quale egli era particolarmente adatto: a tale inconveniente si poneva talvolta rimedio col concedere al console e al pretore di continuare le sue funzioni, anche dopo deposta la carica, con la qualifica di proconsole o propretore.
     La collegialità, cioè il dover gestire una carica non da solo, ma insieme con uno o più colleghi, era un'altra limitazione del potere di un magistrato, derivante anch'essa dalla preoccupazione che chi governava da solo, senza controllo, potesse abusare della carica a danno dei singoli cittadini.
     Connesso con la collegialità era il diritto di veto, pur esso diretto a limitare il potere dei pubblici magistrati. Infatti, quando un magistrato non approvava l'azione del suo collega poteva fermarne l'esecuzione opponendo il suo veto; il che poteva causare la paralisi di ogni attività. Per rimediare a tale inconveniente i magistrati o comandavano a turno (un mese l'uno, un mese l'altro) oppure si ripartivano i compiti da eseguire in modo che nessuno fosse di ostacolo all'altro. Un magistrato non poteva essere deposto dalla carica prima che scadesse il tempo stabilito per la sua durata e, sebbene potesse essere processato per comportamento illecito, ciò in pratica non accadeva mai. Uscito però di carica, il magistrato tornava a essere un cittadino qualunque e poteva quindi essere chiamato in tribunale a rendere conto di quanto aveva operato durante la carica.

LA SORTE TRA I CANALI
     L’uso del sorteggio lo ritroviamo a Venezia all’epoca delle Repubbliche Marinare.
     Il Doge, supremo magistrato della Repubblica, era eletto a vita e la sua elezione avveniva con un complicatissimo sistema di votazioni e ballottaggi (estrazioni a sorte), seguito dall'incoronazione davanti al popolo.
     L'aristocrazia veneziana era una categoria sociale relativamente aperta: a essa si poteva accedere per grandi meriti e servigi offerti alla Repubblica. In pochi casi, per rimpinguare le finanze in tempo di guerra, la Repubblica vendette l'iscrizione al "libro d'oro" dell'aristocrazia. L'aristocrazia non era solo una classe di privilegiati, ma anche di servitori professionisti dello Stato, educati nell'università di Padova. Infatti i nobili veneziani lavoravano nell'amministrazione anche come segretari di ufficio, contabili, capitani di porto, e anche giudici.
     Per impedire il concentrarsi del potere in poche mani, garantire un certo ricambio e consentire al maggior numero di aristocratici di avere un impiego, tutte queste cariche erano di breve durata, spesso di un solo anno. Erano sovente mal pagate, tanto che molti nobili sopravvivevano grazie all'assistenza pubblica per gli aristocratici poveri.

> La democrazia ateniese (...) era, sotto certi aspetti, più democratica di qualsiasi sistema moderno. I giudici e la maggior parte del dei funzionari del potere esecutivo erano estratti a sorte ed effettuavano il servizio per brevi periodi: essi erano quindi cittadini medi, come i nostri giurati.
> Oltre ai re, al Consiglio degli Anziani e all’Assemblea, vi era un quarto braccio governativo, peculiare di Sparta. Erano i cinque èfori. Questi venivano scelti tra l’intera cittadinanza con un metodo che (...) era praticamente l’estrazione a sorte. Gli efori erano la suprema corte civile, ma sopra i re avevano anche la giurisdizione penale.
> Il concetto di democrazia era sotto molti aspetti più radicale del nostro: per esempio Aristotele dice che eleggere i magistrati è un modo di procedere oligarchico, mentre è democratico tirarli a sorte. Nelle democrazie radicali, l’assemblea dei cittadini era al disopra della legge, ed era pienamente libera di decidere ogni questione. I tribunali ateniesi erano composti d’un gran numero di cittadini scelti mediante sorteggio e non guidati da nessun giurista.
(Bertrand Russell, “Storia della filosofia occidentale”)
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Nell'immagine qui sopra, Bertrand Russell nell’interpretazione di Normal Rockwell

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