sabato 22 novembre 2014

DEMOCRAZIA A SORTE


     E' venuto il momento di superare la democrazia rappresentativa, che ha fallito.
     Quella che chiamiamo democrazia, forse lo è solo nel senso dispregiativo che ebbe agli inizi in Grecia (v. pagina 4); infatti è ormai definitivamente degenerata in una “dittatura oligarchica” - quando non addirittura personalistica - nella quale è saltato ogni possibile rapporto di fiducia tra governati e governanti. Per non parlare dei partiti, ridotti a zombi che non accettano di essere morti e continuano ad aggirarsi nel panorama politico nutrendosi dei cervelli delle persone.
     E' dunque ora di approdare finalmente a una vera democrazia, o meglio a una demarchia (governo del popolo) che, come ai tempi della polis ateniese, si fondi sull’estrazione a sorte. Come si vede, la soluzione è a portata di mano e la storia ci insegna: partiti? Corruzione? Sete di potere? Professionisti della politica? Tutto cancellato con un colpo di spugna! Basta tornare alle origini e dare, ridare al popolo, tutto il popolo, il potere di decidere. Accompagnando al sorteggio il carattere della temporaneità e della rotazione degli incarichi. Un diritto per tutti, un dovere di tutti.
E' così che le generazioni future dovranno percepirlo: come un sacrosanto diritto, sì, ma anche e forse soprattutto come un dovere, talvolta pesante, sicuramente impegnativo, come la naja di una volta o il compito a cui ancor oggi i giudici popolari sono chiamati. Un momento particolare della propria vita. Niente di clamoroso, niente  che faccia insuperbire. Semplicemente un periodo di servizio allo Stato, cioè a sé stessi. Scomparirebbero così le pompe magne, l’arroganza, le scorte, i lussi, le ruberie.
  Che c’è di più semplice? Oggi la tecnologia, con la rete, tra l’altro ci facilita in questo progetto perché ci consente di affiancare alla Bulé di estratti a sorte la partecipazione alle decisioni più importanti di una Ecclesia che può arrivare a comprendere, oggi sì, veramente tutti i cittadini.
  Come avete visto nelle pagine precedenti, il sorteggio in politica è tutt’altro che una novità. Già Montesquieu, ne “L’Esprit des lois”, indica la natura costitutivamente democratica dell’estrazione a sorte a fronte di quella aristocratica delle forme rappresentative. L’estrazione, secondo il grande ideologo, previene l’invidia e conferisce a ogni cittadino “una probabilità ragionevole di esercitare una funzione pubblica”. Rousseau, poi, ne “Il Contratto sociale” sostiene che l’estrazione a sorte è preferibile alle elezioni in quanto consente di prendere decisioni senza che interferiscano volizioni particolari, dunque attenuando forme di “corruzione”.
  Interessante, a latere, è anche l’opinione di Pierre Bourdieu sul carattere artificioso dell’opinione pubblica ridotta a “opinione sondata”. Anche perché sono i tratti della personalità – di una personalità mediatizzata – amplificata a dismisura dai nuovi media, in particolar modo dei leader, a determinare le opzioni elettorali.
  Bernard Manin in “Principi del governo rappresentativo” (2010) ci ricorda che “Dall'Atene antica a Montesquieu, da Aristotele a Rousseau, nessuno ha mai considerato le elezioni strumento democratico per eccellenza. La migliore espressione della democrazia è stata vista, semmai, nell'estrazione a sorte, garanzia di rigorosa uguaglianza. Per converso, esiste un'irriducibile componente aristocratica nel governo rappresentativo dei moderni, in origine ritenuto sostanzialmente diverso dalla democrazia.” Sostiene poi che: “(...) i rappresentanti non possono mai affermare con piena fiducia e certezza: "noi siamo il popolo"” e aggiunge: “sia l’autogoverno del popolo, sia la rappresentanza assoluta hanno come effetto l’abolizione della di-stanza fra coloro che governano e coloro che sono governati”.
  Sul sito www.homolaicus.com, parlando del libro di Hans Hermann Hoppe, “La democrazia, il dio che ha fallito”, Filippo Matteucci scrive che il titolo dell’opera “è arbitrario se applicato al significato essenziale del concetto di "democrazia" (...). Il fallimento nelle intenzioni di rendere il popolo sovrano è caso mai ascrivibile alla democrazia elettiva, delegata. E questo non stupisce di certo. Da che mondo è mondo, chi delega potere, perde potere. Negli ultimi due secoli il popolo non è stato mai sovrano. Semplicemente una borghesia di bassa qualità e spesso dedita a traffici criminali ha tolto il potere ai re e ai nobili che lo detenevano in precedenza. Questo ha significato un regresso di civiltà, un peggioramento della qualità dei governanti. Se la qualità di governanti, di monarchi e aristocratici era talvolta mediocre, la qualità di governanti dimostrata dai modern days kings, ovvero dalle famiglie della grande imprenditoria e della criminalità organizzata, è conclamatamente infima, peggiore. Il popolo, in questo passaggio di potere dall'aristocrazia ai dominanti di oggi, ha svolto o l'imbelle ruolo di spettatore passivo, o quello di marionetta di rivoluzioni e manifestazioni di piazza, marionetta di cui altri tiravano i fili. Si può quindi parlare di fallimento della democrazia nel senso di fallimento della democrazia elettiva, delegata. La tanto sbandierata democrazia elettiva è solo forma, fumo che nasconde una dura sostanza fatta di tirannie oligarchiche prive di ogni virtù, che controllano tutto, anche la mente della gente. I parlamenti altro non sono stati che ben nutriti assembramenti di maggiordomi e lacchè dei padroni del momento, più che di zelanti e diligenti rappresentanti del popolo. Le tecniche di nomina dei parlamentari, dal voto di scambio alla socializzazione dei costi del consenso, sono state appositamente studiate per ottenere questo risultato, per far permanere il potere nelle mani delle famiglie dominanti.”
Possiamo aggiungere, in chiusura di questa sezione, che anche in politica si dovrebbe forse applicare il famoso principio del “rasoio di Occam” formulato nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham: “E' inutile fare col più ciò che si può fare col meno”, che suggerisce l'inutilità di impelagarsi in metodologie complicate e disfunzionali come quelle della democrazia elettiva, se per ottenere lo stesso risultato è sufficiente un sistema più semplice come quello dell’estrazione a sorte.

Ma la soluzione c’è. Si chiama estrazione a sorte. Ha il vantaggio di eliminare i costi delle campagne elettorali, di riportare le città a una normalità estetica (anche l’occhio vuole la sua parte). I cittadini per partecipare dovrebbero avere alcuni requisiti minimi, come la residenza, la maggiore età, la fedina penale pulita, non avere processi in corso, non essere mai stati sorteggiati in precedenza, una competenza di base sull’argomento per cui si propongono. Le mamme incensurate potrebbero candidarsi per l’assessorato alla famiglia, i medici per la salute, i vigili urbani e i tassisti per il traffico, i responsabili di condominio per la carica di sindaco. L’estrazione dovrebbe essere gestita da un pool di magistrati con la consulenza di Collina. Avremmo dipendenti al posto di politici, politica al posto di interessi personali. C’è un comune in Italia che vuole provarci? Batta un colpo! 
Beppe Grillo

“Se le riunioni di quartiere eleggeranno i delegati, si potrà essere certi che questi rappresenteranno le opinioni della maggioranza.”
Gail rimase allibita. “E le opinioni della minoranza? Chi le rappresenterebbe?”
Endecott tagliò l'aria con un gesto impaziente. “Oh, be', la minoranza dovrebbe comunque ottenere dei delegati. E nessuno le impedirebbe di diventare magggioranza a sua volta. Non vedo perché dovrebbe essere un problema. Alla fine tutto si aggiusta, come hai detto tu per il sorteggio.”
“Ma è ridicolo. Questo è completamente diverso” controbatté Gail. “Tirare a sorte è equo, anche se a volte può uscire un risultato anomalo. Con le elezioni non fai che creare il problema della minoranza, e non solo quello. Partiti, soldi, notorietà, corruzione, tanto per dirne alcuni. Che possibilità rimarrebbero alla gente comune, che possibilità avremmo di farci ascoltare, di contare davvero? Le elezioni non hanno nulla di democratico, anzi, sono chiaramente anti-democratiche. E questo lo sanno tutti.”
(da “Luce nera” di Ken MacLeod, Mondadori, aprile 2009)

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